Belisario

Il grande scrittore e storico inglese Robert Graves scrisse anni fa un bellissimo romanzo biografico sul formidabile generale bizantino Belisario, colui che riconquistó l’Italia all’impero romano (sia pure d’oriente) sconfiggendo i goti e riuscendo a difenderla per oltre 30 anni, con soli 1000 uomini e completamente tagliato fuori dalla madre patria.
Lo scrittore inglese, nella prefazione al romanzo, si spinse a fare un paragone, apparentemente arduo, tra il generale bizantino e Re Artú, o comunque la figura storica che sta alla base del mito del leggendario re britannico. Contemporanei, ambedue combattenti in nome della cristianitá e della civiltá (romana) contro il paganesimo, la barbarie e il caos. Ambedue le figure impegnate in combattimenti per assediare o difendere castelli, avvalendosi di prodi cavalieri in armatura e lancia, figure a modo loro eroiche e romantiche. Del primo, essendo romano, sono arrivati a noi innumerevoli documenti che ne testimoniano le gesta, del secondo solo racconti orali. Belisario é entrato nella storia, con le sue virtú e le sue debolezze, con le vittorie e le sconfitte. Artú é entrato nella leggenda, con maghi, draghi e cavalieri della tavola rotonda.
Per collegarmi al precedente articolo di mmyg, la tradizione orale, in certi casi, giova alla causa. Per quanto riguarda la resistenza e i partigiani, ecco che i racconti del nonno sono preferibili alle testimonianze storiche e oggettive, che pure ci sono e in abbondanza (siamo pur sempre eredi della civiltá romana). Con i racconti del nonno (o comunque di tutti i vecchi partigiani) si é costruita la leggenda della resistenza al nazifascismo, ammantandola di gesta eroiche, cavalieri senza macchia e senza paura, di draghi e stregoni cattivi sconfitti grazie al coraggio e alle virtú dei n ostri eroi buoni e immacolati.
Piú che leggenda direi a questo punto vera e propria religione, con i suoi santi, martiri, miracoli e il male assoluto da sconfiggere con la forza della fede.
Ma le religioni spesso e volentieri temono l’oggettivitá della storia e della scienza e cosí via alle scomuniche, ai libri all’indice, alle accuse di eresia e ai roghi, alle crociate ecc. ecc.
Purtroppo per i fedeli della religione partigiana la storia ci racconta cose diverse, ancora in maniera timida, ancora chi osa bestemmiare contro la resistenza é oggetto di persecuzioni (Gianpaolo Pansa ne sa qualcosa) ma piano piano il muro di leggenda che circonda i partigiani sta cadendo. I partigiani non hanno liberato l’Italia, se non ci fossero stati gli alleati non lo avrebbero mai fatto o alla peggio avrebbero sostituito la tirannia nazifascista con quella filosovietica, si sono limitati ad azioni di scarso valore strategico, poco ardite, che non hanno dato nessun vantaggio alle truppe alleate (spesso invece sono stati di intralcio). Si sono limitati ad ammazzare questo o quel gerarca minore, qualche soldato della riserva, qualche funzionario di poco conto (magari nemmeno iscritto al partito fascista). L’azione piú eroica ed eclatante fu l’uccisione del filosofo e ministro Giovanni Gentile, come un cane davanti casa sua, forse perché per aver fatto cose ottime durante il suo mandato da ministro, poteva diventare scomodo in futuro nella demonizzazione del regime mussoliniano. Lo scopo principale dei partigiani fu quello di incrudelire la guerra civile e spingere i fascisti a reazioni feroci e spessissimo inutilmente atroci, per scatenare nella popolazione un sentimento antifascista che fino a quel momento era in veritá piuttosto blando (ricordiamo il vastissimo consenso popolare di cui godette il fascismo) e preparare l’ascesa del glorioso partito comunista filosovietico.
Quando si parla di atrocitá partigiane come al solito i fedeli ammettono che ci siano state ma erano poche e frutto di single teste calde. Quando si ricorda che le Brigate Garibaldi commisero atti atroci a lungo e nella loro interezza di organizzazione (ma vorrei ricordare pure l’eccidio di Porzus in cui i partigiani badogliani, attirati con l’inganno e la falsa accusa di tradimento, furono trucidati dai partigiani comunisti filo titini) si risponde che peró loro rspondevano ad atrocitá commesse prima dai fascisti e quindi legittimati a fare quello che volevano, dimenticandosi che usare gli stessi metodi e le stesse atrocitá del proprio nemico ci rende uguali ad esso, per nulla migliori.
I talebani del pensiero poartigiano e resistente, che tra l’altro si arrabbiano se li chiami cosí, peró non vogliono sentire ragioni, come un qualsiasi estremista religioso che, di fronte alle contraddizioni della propria religione gridano alla bestemmia e hanno paura di confrontarsi forse perché pur avendo fede non si sentono troppo forti nelle loro convinzioni, quando hanno a che fare con l’eretico di turno alzano una barriera, con chi la pensa come i fascisti non si parla. Chissá, forse se la loro fede comincia a vacillare si fanno prendere dalla depressione!

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