“Il nome “deontologia” deriva dal greco “deon” che significa “dovere”. L’obiettivo di Kant nella formulazione della deontologia era stabilire un sistema etico che non dipendesse dall’esperienza soggettiva ma da una logica inconfutabile. Quindi, la correttezza etica di un comportamento sarebbe un dovere assoluto e innegabile, alla stessa maniera in cui nessuno potrebbe negare che due per due fa quattro.”
Questo è quanto si legge su Wikipedia, nel Codice Deontologico Professionale degli Ingegneri vi è scritto: “L’etica professionale, qui considerata sinonimo di deontologia, accompagna tutte le fasi del ciclo di vita (del bene frutto della progettazione) indipendentemente e al di sopra delle prescrizioni di legge (coincidendo tale affermazione con il rispetto prioritario della persona umana). Vengono qui svolte alcune considerazioni applicate alla progettazione ma facilmente generalizzabili…Oggi sono sempre più frequenti dibattiti ed interrogazioni sul ruolo della scienza con particolare riferimento alle grandi emergenze mondiali, quali quelle culturali, morali ed ambientali. Il problema della deontologia nelle professioni tecniche e sopratutto del progettista è strettamente legato a queste considerazioni:
- SCIENZIATO – è colui che si occupa della ricerca scientifica e quindi, con Galileo, “legge nel libro della natura”
- PROGETTISTA – è colui che elabora e struttura le informazioni necessarie a realizzare prodotti tecnici. Ed è della sua deontologia professionale che qui ci si occupa.
- TECNICO – è colui che realizza i prodotti tecnici volti a soddisfare i bisogni umani.
Ma come può, io domando, il progettista poter seguire detto codice deontologico se le scoperte dello scienziato, che lui dovrà elaborare e strutturare in modo che il tecnico possa realizzare i “prodotti tecnici volti a soddisfare i bisogni umani”, gli vengono continuamente contestate? Certo in giudizio, durante una causa in tribunale, le supposizioni e le fantasticherie non potranno certamente prevalere sul rigore scientifico e sulle dimostrazioni di laboratorio, sfatare gli “esercizietti” sarà in quella sede impossibile; ma resta il fatto, tuttavia, che chi ha speso gran parte della vita sui libri, nei laboratori, che ha attraversato umiliazioni e sconfitte per raggiungere risultati che i più, per non aver avuto la stessa forza di volontà, sono lontani anche solo dall’immaginare, sia preso da un certo senso di frustrazione quando costoro, sulla base del nulla, contestano quei risultati.
E’ in fondo questo il senso della meritocrazia, è il diritto a vedersi riconosciuto l’impegno, il diritto di vedersi riconosciuto il coraggio di assumersi le proprie responsabilità su progetti che costano soldi e fatica e che, per un errore del progettista, possono fallire miseramente. Questo difetta in italia, la meritocrazia e l’umiltà di riconoscere la propria posizione quando questa non raggiunge i livelli necessari per far avanzare l’azienda e di riflesso il paese d’appartenenza.
In questo disastro i sindacati hanno la maggiore responsabilità, avendo inculcando nell’operaio la convinzione che il suo lavoro ha lo stesso plusvalore di quello del progettista, ingenerando una sorta di supponenza che lo porta a pretendere la ragione su cose che è lontano sia dal conoscere, sia dal capire, non avendone le propedeuticità.
Di questo si devono far carico le giovani generazioni di laureati, esclusi dall’eccellenza che pure si sono guadagnati con anni di fatiche e di sacrifici, per essere relegati nel mondo sindacal-marxista-classista del siamo tutti uguali, indipendentemente dall’impegno profuso, da quanto speso sia in termini economici che umani e dalle possibilità di far progredire il paese.
Così questi giovani ci lasciano, approdano a lidi dove ciò che conta non è la massa ma la volontà, la dedizione, l’impegno; e a noi rimangono i “lo dicono gli scienziati” i “tu hai dei problemi” i “c’è scritto su quel sito”. Formiamo eccellenze e le regaliamo mentre a noi riserviamo lo squallore.
Vedo questo aggravarsi di giorno in giorno, lo vedo in azienda dove i meritevoli giovani italiani vengono relegati agli angoli per far posto ad extracomunitari pagati dal comune, incapaci, inaffidabili e del tutto impreparati alle mansioni loro affidate, ma tanto politically correct; lo vedo in stagisti le cui competenze vengono sfruttate nei periodi di stage (che dovrebbero invece servire ad approfondire le conoscenze degli stagisti stessi) per poi essere lasciati andare via per l’impossibilità di assumerli, lasciando lavori incompiuti, talvolta di alta qualità tecnica, che mai nessuno riprenderà.
Povera Italia, ti compatisco e ti piango. Ma chi è causa del suo mal pianga se stesso!
mmyg