Mentre infuriano le polemiche sul caso Dell’Utri, il magistrato Antonio Ingroia se ne va a spasso a New York. Che è andato a fare laggiù? Niente. Si sono inventati una gita per visitare la Grande Mela. Organizzatore del viaggio un club culturale di primaria e decisiva importanza nel mondo, niente di meno che il Club Culturale di Castellana Sicula (Palermo), rispetto al quale l’Accademia dei Lincei e la Fondazione Rockefeller fanno la figura di asili per bambini alle prese con l’abecedario. La delegazione proveniente da un paese siciliano mai inteso, guidato da un assessore alla cultura, tale Vito Lo Verde, un emerito sconosciuto mai sentito prima, ha assistito alla consegna dell’esclusivo premio “Amaretto d’oro 2012″ al console italiano a New York Natalia Quintavalle. Un riconoscimento che non ha uguali nel mondo, che è il sogno e l’invidia di quelli che si debbono accontentare dei premi Nobel.
Ingroia ha annunciato che nei prossimi giorni sarà a Chicago. Nel frattempo, nonostante i suoi “pressanti” impegni americani, ha trovato il tempo per minacciare di querelare il quotidiano Libero, forse Giuliano Ferrara, e chissà chi altri, per le critiche ricevute a margine del caso Dell’Utri, delegando al suo amico per la pelle Travaglio, col quale è solito trascorrere vacanze proletarie in Grecia (chissà se fanno anche un salto a vedere i campi in cui si formano e si allenano i corpi benemeriti della militanza proletaria No Tav, Black Bloc e No Global), il compito di gettare fango sulle Istituzioni e di insultare tutti quelli che non la pensano come lui durante la sua assenza.
Mentre Travaglio ne fa le veci, Ingroia può democraticamente dichiarare ad una emittente radio di New York, che “Forza Italia non è nato per essere un partito politico come non fu mai, ma come movimento di sostegno alla mafia, cui ha fornito per vent’anni una copertura politica”.
Per ovvia deduzione, secondo Ingroia Berlusconi è stato per vent’anni, oltre che un perverso piduista, anche il capo riconosciuto della Cupola mafiosa. Questo detto da uno che pretende rispetto per il suo ruolo di appartenennte alla Magistratura, della quale ovviamente rivendica la piena indipendenza di giudizio. Sì, ma chi ci protegge dalle sue invasioni di campo nella politica e nella vita civile?
Per chi non lo sapesse, Ingroia è quel magistrato che frequenta i congressi, le manifestazioni e gli happenings dei Comunisti Italiani e di Rinfondazione Comunista di cui è un tesserato, affermando apertamente nei suoi pubblici interventi che lui si rifiuta di applicare la “legge dei borghesi”, ma che nei procedimenti a lui affidati applica una sua particolare lettura proletaria della legge, perchè secondo lui le leggi vigenti violano la Costituzione quando riguardano rappresentanti dell’ultrasinistra proletaria e che lui “dovendo scegliere sarà sempre schierato dalla parte della Costituzione di cui è un partigiano”.
Sì, ma quale regola costituzionale difende, quella italiana o quella del Soccorso Rosso?
Ed i risultati di questo suo modo di fare e di pensare si sono visti, stanno sotto gli occhi di tutti. E’ stato il pm del processo a Dell’utri condannato a nove anni, poi ridotti a sette. Non c’erano elementi su cui costruire questo processo, ma Dell’Utri andava perseguito perchè amico di Berlusconi, un nemico del popolo, un faccendiere piduista, un bieco reazionario da eliminare. Sapete tutti cosa ha detto la Cassazione di quella sentenza: “La cosa più difficile nel processo Dell’Utri è stato cercare di comprendere (senza successo ndr) quale fosse il capo di imputazione, nonostante il Giusto Processo non preveda la possibilità di imputazioni criptiche od implicite. E la sentenza è priva di motivazioni e di un qualsiasi riferimento alla fattispecie del reato contestato”.
Ed appaiono sacrosante e non equivocabili le parole con cui il quotidiano Libero bolla l’attività professionale di Ingroia: “La verità, a parte tutto, è che Ingroia ha tutte le ragioni di lagnarsi: in effetti questa complicata riforma della giustizia è rivolta anche contro i magistrati come lui. Quei magistrati, cioè, come Ingroia, che sono capaci di tenere in piedi istruttorie tutte sbagliate per poi scivolarne via senza pagare pegno, come quella sul delitto di Mauro Rostagno. Quei magistrati, come Ingroia, che biascicano continuamente di essere prossimi a indicibili verità (su trattative & politica & stragi eccetera) dopo che per 18 anni una dozzina di pm, più una trentina di giudici di primo grado e d’appello e di Cassazione, non hanno ancora scoperto i veri esecutori e mandanti della strage di via D’Amelio: anzi, hanno incarcerato innocenti come ha rivelato il quasi-pentito Gaspare Spatuzza. Quei magistrati, come Ingroia, che si sono fatti ristrutturare il casolare di campagna da un uomo come il costruttore Michele Aiello, prima di scoprire – non lui: l’hanno scoperto altri – che questo Aiello era un prestanome di Bernardo Provenzano. Immaginarsi se fosse successo ad altri. Ma non è successo ad altri: è successo a lui, Antonio Ingroia, professione antimafia, elemento di spicco della più formidabile casta di intoccabili nominati per concorso”.
Allora noi ci appelliamo con deferenza al Capo dello Stato che è anche il Presidente del CSM, al Primo presidente ed al Procuratore Generale della Suprema Corte di Cassazione, fatti segno di critiche irriverenti ed oltraggiose in merito all’annullamento della sentenza Dell’Utri, al Ministro di Grazia e Giustizia Severino, all’ANM per rivolgere loro questa semplicisima domanda : che cosa altro dobbiamo subire perchè qualcuno si degni di mettere in condizione di non nuocere il compagno partigiano Ingroia, espellendolo dalla magistratura ?
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