La finta democrazia che vige in Italia OBBLIGA i cittadini (d’ora in poi definiti sudditi) all’esercizio del voto. L’art. 48 Cost. nasconde vigliaccamente sotto il termine di “dovere” ciò che in realtà è un obbligo, un’imposizione:
Art. 48 Cost. Il voto è personale ed eguale, libero e segreto. Il suo esercizio è dovere civico
I sudditi che si rifiutavano di esercitare questo dovere-obbligo erano pesantemente sanzionati (iscrizione al casellario giudiziario, interdizione ai pubblici uffici); ora queste sanzioni sono state rimosse, tuttavia rimane il dovere. Ma quale differenza c’è tra diritto, dovere e obbligo? Il diritto è riconosciuto dalla legge e il suo esercizio è da essa tutelato ed è FACOLTATIVO. Quindi se io ho il diritto di votare la legge me lo riconosce e predispone quanto serve per tutelarne l’esercizio, ma non mi OBBLIGA ad esercitarlo.
Il dovere è invece una forma di obbligo, ovvero è una “situazione svantaggiosa” per il soggetto destinatario del dovere, che deve operare a vantaggio di un altro soggetto, es. il lavoratore (soggetto svantaggiato) ha il dovere di lavorare per il datore di lavoro (soggetto avvantaggiato), il genitore (sogg. svantaggiato) ha il dovere di educare i figli (sogg. avvantaggiato); quindi l’elettore, soggetto svantaggiato, ha il dovere di votare per il candidato/partito/coalizione/altro che sia, che costituisce il soggetto che si avvantaggia del dovere dell’elettore, o suddito più correttamente.
L’obbligo è invece una condizione imposta per legge, non rifiutabile, e quindi sanzionata. Ora essendo state rimosse le sanzioni per chi si rifiuta di votare ciò non è più un obbligo in senso stretto, ma un forma di obbligo più meschina, che al massimo può sfociare nella riprovazione, (ma anche nella sanzione nel caso della genitore che non educa o del lavoratore che si rifiuta di svolgere in’incombenza) a cui i sudditi italiani sono sottoposti.
Pubblico di seguito, per chi volesse sentirsi più cittadino che suddito, un escamotage per non votare e al contempo non incorrere nel rifiuto del dovere/obbligo di votare, tuttavia essendo la costituzione italiana (e in conseguenza la legge in generale) un’insieme di sotterfugi ingannatori anche nel testo che segue ci si domanda cosa sia lecito oppure non lecito.
Rifiuto o restituzione con verbalizzazione delle schede: riferimenti normativi e prime indicazioni
ISTRUZIONI PER L’ELETTORE
1) andare a votare, presentarsi con i documenti + tessera elettorale e farsi vidimare
la scheda
2) NON TOCCARE LA SCHEDA (se si tocca la scheda viene contata come nulla e
quindi rientra nel meccanismo del premio di maggioranza)
2) ESERCITARE IL DIRITTO DI RIFIUTARE LA SCHEDA (dopo vidimata), dicendo:
‘rifiuto la scheda per protesta, e chiedo che sia verbalizzato!’
3) pretendere che venga verbalizzato il rifiuto della scheda
4) esercitare,se si vuole, il proprio diritto di aggiungere, in calce al verbale, un
commento che giustifichi il rifiuto (ad esempio, ma ognuno decida il suo motivo:
‘nessuno dei politici inseriti nelle liste mi rappresenta’ – oppure: ‘perché nessun
partito ha nel suo programma il ripristino della sovranità monetaria costituzionale’) (d.p.r. 30 marzo 1957, n. 361 – art. 104, già citato) così facendo non voterete, ed eviterete che il voto,nullo o bianco, sia conteggiato come quota premio per il partito con più voti.
Tratto da: http://www.riforme.info/noschede2008/19-rifiuto-schede/117-noschede-rifnorm:
Come sotto ricordato, il segretario di sezione è obbligato a verbalizzare qualsiasi reclamo provenga dagli elettori. Benché forti di questa norma, evitare in ogni caso di passare dalla ragione al torto ed incorrere nelle sanzioni previste per chi turba il regolare svolgimento delle operazioni di
voto. Di fronte all’eventuale ostinazione dei presidenti e alla riluttanza dei segretari a non verbalizzare, e laddove non ci si senta in grado di sostenere il confronto, evitare di farsi coinvolgere in accese ed inutili discussioni. Rivolgersi invece alla forza pubblica per richiedere l’intervento dell’ufficiale giudiziario che può avere accesso nella sezione per notificare al presidente proteste e reclami relativi alle operazioni della sezione (art. 44 comma 4 D.P.R. 30 marzo 1957, n° 361 e successive modifiche).
ISTRUZIONI PER IL PRESIDENTE DI SEGGIO
Da più parti arriva la richiesta di un riscontro di legge puntuale circa la possibilità di non ritirare o restituire le schede elettorali, con conseguente verbalizzazione dei motivi del rifiuto o della restituzione. Il dubbio, è che in assenza di una previsione normativa chiara i Presidenti di seggio potrebbero facilmente mettere in difficoltà chi volesse portare avanti questo tipo d’iniziativa.
Di fronte ad una simile difficoltà si potrebbe agevolmente rispondere con una richiesta analoga per il motivo opposto: dove sta scritto che all’elettore è fatto divieto di restituire la scheda e l’impossibilità, quindi, di esigere la verbalizzazione dei motivi del gesto? Neanche questo, appunto, sta scritto da alcuna parte. In linea di principio, quindi, in assenza di divieti espliciti o desumibili dal combinato disposto di più norme, la presunzione sta tutta a vantaggio di ciò che non è stato in alcun modo vietato.
Ma anche laddove si riuscisse a trovare un richiamo indiretto che potrebbe far presumere l’esistenza di un divieto, trattandosi di attività interpretativa, si dovrebbe verificare la compatibilità di questa attività interpretativa con il complesso delle norme che, indirettamente, potrebbero, al contrario, far dubitare dell’esistenza del divieto indirettamente ricavato. Nel caso specifico, c’è un indubbio interesse dell’elettore ad esercitare il proprio diritto di voto. Ma oltre che un diritto, l’esercizio di voto è anche un dovere civico (Art. 48 Cost.) La prima questione che in tal senso si pone riguarda, evidentemente, la possibilità di poter assolvere a questo dovere civico nella piena disponibilità dei diritti costituzionalmente garantiti.
E laddove il cittadino ritenga che i propri diritti siano stati in qualche modo lesi, verificare l’esistenza o meno degli strumenti normativi, durante tutte le fasi del procedimento elettorale, che consentano all’elettore, nell’esercizio del diritto-dovere, di richiamare l’attenzione degli organi preposti. Se questi strumenti non vi fossero ci sarebbe da gridare allo scandalo, ma il “caso” vuole che ci siano. Non efficacissimi, ma neanche del tutto assenti. Art. 104, comma 5, del Testo Unico delle Leggi Elettorali D.P.R. 30 marzo 1957, n. 361 e successive modifiche:
Il segretario dell’Ufficio elettorale che rifiuta di inserire nel processo verbale o di allegarvi proteste o reclami di elettori è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa sino a lire 4.000.000. Ed anche:
art. 87, comma 1, del Testo Unico delle Leggi Elettorali D.P.R. 30 marzo 1957, n. 361 e successive modifiche:
“Alla Camera dei deputati è riservata la convalida della elezione dei propri
componenti. Essa pronuncia giudizio definitivo sulle contestazioni, le proteste e, in generale, su tutti i reclami presentati agli Uffici delle singole sezioni elettorali o all’Ufficio centrale durante la loro attività o posteriormente.”
Non solo, quindi, è per legge prevista, durante il procedimento elettorale, la possibilità per gli elettori di avanzare proteste o reclami. A queste proteste viene dato, quanto meno sotto il profilo formale, un rilevo particolare, al punto che la Camera dei Deputati si pronuncia.
Siamo cioè di fronte ad una vera e propria attivazione di un Organo costituzionale in conseguenza di un atto che legittimamente può essere compiuto da ogni singolo elettore. Tornando quindi al rifiuto o alla restituzione di una o più schede elettorali, nulla osta a che la protesta possa riguardare questioni come la legge elettorale, eventuali dubbi circa la correttezza della scheda elettorale ricevuta, o altri motivi che in ogni caso renderebbero di fatto inutile, nella convinzione dell’elettore, l’espressione del voto.