Pubblico questo ottimo articolo di Piero Sansonetti. Pur distante mille miglia politicamente da me, non ho mai smesso di stimare l’ex direttore di Liberazione per la coerenza e l’onestà intellettuale espresse in diverse occasioni, rinunciando a facili allori mediatici e attirandosi gli strali di quei fascisti neri, rossi, arancioni e viola che purtroppo infestano la vita politica e mediatica italiana.
Piero Sansonetti per Gli Altri Online
Dieci anni fa un famoso regista e attore, Nanni Moretti, salì su un palco a piazza Navona e gridò: “Con questi dirigenti la sinistra non vincerà mai!”. La sua invettiva ebbe un incredibile successo, fece il giro d’Italia e del mondo, entrò nel senso comune. In effetti la sinistra, da allora, di successi ne ebbe pochi.
Adesso, dopo il clamoroso smacco ricevuto dai giudici calabresi con la sentenza del processo “Crimine” e poi con l’indignazione espressa dalla Cassazione per il processo Dell’Utri, il grido di Moretti può essere ripetuto, rivolto non ai politici ma alla magistratura (più precisamente ai Pm) e alla “Corte” dei giornalisti dei quali si circonda: “Con Pm e giornalisti così, vincerà sempre la mafia”. Perché? Perché questi Pm e questi giornalisti – unificati in una specie di unica organizzazione – stanno trasformando il processo penale in una specie di “linciaggio politico”, nel quale hanno un peso quasi irrilevante l’istruzione di processi, la ricerca delle prove, la solidità dell’impianto accusatorio, ma conta solo il clamore mediatico e la possibilità di punire gli imputati attraverso una lunga “via crucis morale”. Dieci anni di gogna, quindici anni di gogna…Pm e giornalisti non sono interessati alle prove ma al “ragionevole sospetto” e su questa base procedono, del tutto incuranti dello stato di diritto e delle norme e procedure della legge. Quali sono i risultati? Che ottengono un enorme potere politico, perché gli effetti della loro azione su personaggi che hanno bisogno di consenso e di popolarità sono devastanti, e non c’è bisogno di nessuna conseguenza penale per ottenere lo scopo. Ma mancano clamorosamente l’obiettivo di colpire le organizzazioni criminali. Quasi mai i loro processi vanno a buon fine. Alla mafia, ovviamente, piacciono questi Pm.
Vediamo gli ultimi due casi. Il primo è il processo calabrese alla ‘ndrangheta, il cui esito ha avuto poca eco sulla stampa nazionale, ma che è clamoroso. Doveva essere il processo alla cupola della ‘ndrangheta, più o meno come fu quello degli anni ottanta impostato da Falcone e Borsellino contro “Cosa Nostra”. Però il processo-Falcone si concluse con decine di ergastoli, questo processo con molte assoluzione e con pene assai tenui e per reati decisamente minori. Neanche una condanna per omicidio. Basta dire che il presunto capo della ‘ndrangheta calabrese, Domenico Oppedisano, ha ricevuto una condanna a dieci anni per reati associativi. Capite bene che se il capo della ‘ndrangheta, considerata la più potente organizzazione criminale d’Europa, se la cava con 10 anni, i Pm non devono aver lavorato molto bene, anche se – nel corso del “processo crimine” – hanno ricevuto molti elogi ed onori dalla stampa.
Il secondo caso clamoroso è la sentenza della Cassazione sul senatore Dell’Utri. Il quale, per 11 anni, è stato indicato da moltissimi giornali e Tv come un uomo chiave di “Cosa Nostra”. La Cassazione non solo ha annullato la sentenza pronunciata dalla Corte d’Appello di Palermo, ma ha dichiarato apertamente che chi aveva condotto quel processo e emanato quella sentenza è un vero incompetente. Ha detto di più; ha detto che non si riesce a capire di che cosa si accusi il senatore Dell’Utri.
La risposta, assai polemica, è venuta ieri dagli articoli indignati di molti giornali (Repubblica e il “Fatto” su tutti), i quali amano la magistratura ma sono convinti che il compito della magistratura sia di condannare chi gli capita a tiro, e se qualche giudice assolve, vuol dire che è un fellone e allora bisogna gridare contro la magistratura. Bene, cosa hanno risposto queswti giornali alla Cassazione? La lettura dell’articolo di Attilio Bolzoni su “Repubblica” ( e Bolzoni è il più celebre e stimato giornalista giudiziario dei “Repubblica”) lascia senza parole. Non sappiamo quale frase citare perché sono tutte frasi che possono essere scritte solo da un aedo dello Stato di polizia. Per esempio questa: “Aveva relazioni con uomini vicini alla cupola? Che importa? Mica c’è una prova di un suo contributo all’associazione criminale!” (ironico). E ancora: “Non è mica un delitto invitare in Lombardia il capo della decina di Santa Maria del Gesù!” (sempre ironico). E poi (clamoroso): “Non abbiamo mai avuto prove delle rivelazioni bislacche di Massimo Ciancimino sul ruolo di Dell’Utri… ma nessuno ha mai avuto dubbi sulla vicinanza tra il senatore e quella gente là…”. Capite? Bolzoni, seriamente, ci tiene a dire che per fare i processi non servano prove. Basta che un giornalista dica: “non ho dubbi sulla sua colpevolezza”.
Una volta, in Unione Sovietica, c’era un procuratore che si chiamava Vichinsky , e fu quello che guidò tutti i processi staliniani. Il partito gli indicava un sospetto, lui lo accusava, esponeva i sospetti alla giuria e, puntualmente, otteneva la condanna: senza reato e senza prove. Però Vichinsky aveva un punto di forza: Stalin. Oggi, Stalin non c’è. Per fortuna. E allora, purtroppo, se la gran parte dei Pm impegnati nella lotta alla mafia resta quella che è, la mafia ha già vinto.