Tristi, tecnici e pure poco seri

Di Marcello Veneziani per Il Giornale

Anche i tecnici in Italia non sono una cosa seria.

Finché si tratta di colpire i deboli, pensionati, categorie inermi o generici contribuenti, i tecnici tagliano, tassano e mazziano.

Quando invece si tratta di scontentare la sinistra o il sindacato, le banche o le caste, allora fanno marcia indietro. E così tornano le commissioni bancarie, non si toccano gli sprechi pubblici e le riforme del lavoro si annacquano negli anfratti del parlamento e poi nei tribunali.

Con ridicoli stratagemmi verbali: come per esempio quell’italianissimo e furbissimo «salvo intesa», che serve a socchiudere la porta, a dire tutto e niente. O quell’altro furbino e demagogico vietare le dimissioni in bianco dei dipendenti: ma perché prima erano ammesse?

I tecnici dicono di fregarsene del consenso ma sono succubi dell’assenso, che è assai peggio: ovvero il nullaosta dei Palazzi che contano.

Questo Paese avrebbe bisogno non di tasse ma di giganteschi tagli agli sprechi pubblici; di ripartire ruoli e responsabilità nel lavoro; di avere governi decisionisti di legislatura, non ricattabili da nessuno, neanche dal parlamento. Ma la Repubblica presidenziale, la cogestione nelle aziende, la riforma per dimezzare i costi della politica non si possono fare. Odorano di fascismo, dicono i seri; anche se la prima c’è in America, leader delle democrazie occidentali, la seconda in Germania, locomotiva dell’economia europea e la terza è richiesta dal popolo, sovrano d’Italia.

Serio non è chi non ride: come mostra Pierrot, si può essere tristi e pagliacci.

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