Da Il Legno Storto.il
Apocalisse a breve scadenza |
di Paul Krugman
Improvvisamente, è divenuto facile vedere come l’euro – questo grandioso e incrinato esperimento di unione monetaria senza unione politica – potrebbe sfasciarsi completamente. Non stiamo neppure parlando di una prospettiva lontana. Tutto potrebbe crollare ad una velocità stupefacente, nel giro di mesi, non di anni. E i costi – sia quelli economici sia quelli, prevedibilmente anche più importanti, politici – potrebbero essere immensi.
Non è detto che ciò accada; l’euro (o almeno la maggior parte di esso) potrebbe ancora essere salvato. Ma ciò richiederebbe che i leader europei, particolarmente in Germania e nella Banca Centrale Europea, cominciassero ad agire in modo molto diverso rispetto al modo in cui hanno agito durante gli anni recenti. Essi dovrebbero smettere di moraleggiare e dovrebbero affrontare la realtà; dovrebbero smettere di temporeggiare e, per una volta, dovrebbero andare oltre la curva.
Mi piacerebbe poter dire che sono stato ottimista.
Ecco la storia fino ad ora: quando l’euro è nato, ci fu una grande ondata di ottimismo, in Europa: e questo, poi si è visto, fu la cosa peggiore che sarebbe potuta accadere. Il denaro si riversò in Spagna ed in altre nazioni che ora erano viste come investimenti sicuri e questo flusso di capitale alimentò enormi bolle immobiliari ed enormi deficit commerciali. Poi, con la crisi finanziaria del 2008, il flusso si inaridì, provocando gravi recessioni in quelle stesse nazioni che prima avevano avuto un boom.
A quel punto la mancanza di unione politica divenne una grave passività. Sia la Florida sia la Spagna hanno avuto bolle immobiliari, ma quando la bolla della Florida scoppiò, i pensionati potevano ancora contare sul fatto che avrebbero ricevuto lo stesso, da Washington, i loro assegni della Social Security e della Medicare. La Spagna invece non riceveva un tale sostegno. Sicché lo scoppio della bolla si trasformò anche in una crisi fiscale.
La risposta dell’Europa è stata l’austerità: tagli selvaggi alla spesa nel tentativo di rassicurare i mercati dei titoli. E tuttavia ogni economista di buon senso avrebbe potuto dirvi (e l’abbiamo fatto, l’abbiamo fatto) che questi tagli avrebbero reso ancor più profonda la recessione nelle economie europee in difficoltà; la qualcosa minò ulteriormente la fiducia degli investitori e condusse ad una crescente instabilità politica.
Ed ora arriva il momento della verità.
La Grecia è, per il momento, il punto focale. I votanti che sono comprensibilmente arrabbiati per una politica che ha prodotto il ventidue per cento di disoccupazione – più del cinquanta per cento per quanto riguarda i giovani – se la sono presa con i partiti che hanno applicato tali politiche. E dal momento che l’intero establishment politico greco è stato, di fatto, costretto a sostenere un’ortodossia economica destinata al fallimento, il risultato del disgusto dei votanti è stato un crescente potere degli estremisti. Anche se i sondaggi fossero sbagliati e la coalizione governativa riuscisse a far sopravvivere una maggioranza nel prossimo turno di elezioni, il gioco è sostanzialmente finito: la Grecia non vorrà e non potrà continuare la politica che la Germania e la Banca Centrale Europea le chiedono.
E allora che cosa succederà? Proprio ora, la Grecia sta esperimentando ciò che è correntemente chiamato un “bank jog” [un piccolo trotto bancario], qualcosa come una corsa bancaria al rallentatore, con un numero sempre crescente di clienti che ritirano il loro contante in previsione di una possibile uscita della Grecia dall’euro. La Banca centrale europea sta in effetti finanziando questa corsa bancaria prestando alla Grecia gli euro necessari; se – e probabilmente quando – la banca centrale deciderà che non può concedere ulteriori prestiti, la Grecia sarà obbligata a lasciare l’euro e dovrà battere di nuovo la propria moneta.
Questa dimostrazione che l’euro è di fatto reversibile condurrebbe, a sua volta, a frenetici ritiri di contante nelle banche italiane e spagnole. Ancora una volta la Banca Centrale Europea dovrebbe scegliere se fornire un finanziamento a tempo indeterminato, sapendo che, se per caso dicesse di no, l’euro nella sua totalità potrebbe saltare in aria.
E tuttavia il finanziamento non è sufficiente. L’Italia e, in particolare, la Spagna devono vedersi offrire una speranza, un “ambiente” economico, nel quale esse abbiano qualche ragionevole prospettiva di riemergere dall’austerità e dalla depressione. Realisticamente, l’unico modo di offrire un simile “ambiente” sarebbe che la banca centrale lasci perdere la sua ossessione per la stabilità dei prezzi, e accetti, anzi, incoraggi parecchi anni di inflazione al tre o quattro per cento in Europa (e più su di queste cifre in Germania).
Sia i banchieri centrali sia i tedeschi hanno orrore di questa idea, ma è l’unico modo plausibile attraverso il quale l’euro potrebbe essere salvato. Per gli ultimi due anni e mezzo i leader europei hanno risposto alla crisi con mezze misure per guadagnare tempo e tuttavia non hanno saputo far uso di questo tempo. Ora il tempo è finito.
Così l’Europa coglierà finalmente l’occasione? Speriamolo, e non soltanto perché un fallimento dell’euro avrebbe effetti negativi in tutto il mondo. I più grandi costi del fallimento delle politiche economiche europee sarebbero infatti probabilmente politici.
Pensate a questo: il fallimento dell’euro si trasformerebbe in una colossale sconfitta del più vasto progetto europeo di tentare di portare la pace, la prosperità e la democrazia in un continente con una storia terribile. Ciò avrebbe esattamente lo stesso effetto che il fallimento dell’austerità sta avendo in Grecia: screditerebbe la corrente politica centrale e darebbe potere agli estremisti.
Tutti noi, certo, abbiamo scommesso molto su un successo europeo; e tuttavia sta agli stessi europei realizzare questo successo. L’intero mondo sta aspettando per vedere se stanno facendo il possibile per ottenerlo.